venerdì 3 ottobre 2014

CRASH DUMMY

CRASH DUMMY



Era stato un semplice errore.
Capita.
Quelli del laboratorio avevano fatto confusione e avevano portato Sid all’obitorio.
Sid, che per professione doveva registrare ogni dato possibile con assoluta imparzialità e precisione, non si era scomposto più di tanto.
Lo avevano lasciato su una sedia e lì avrebbe aspettato finché non lo avessero recuperato.
D’altra parte, anche volendo, non avrebbe potuto muovere un muscolo o un’articolazione.
Sid era un crash dummy.
Certo, un manichino standard, niente di eccessivamente raffinato o avanzato come il collega Thor, manichino di ultimissima generazione, dotato di pelle scamosciata e mente digitale, connesso ai più sofisticati calcolatori scientifici.
Sid testava auto familiari. Era un “manichino per l’urto laterale” e tutte, ma proprio tutte, le sue costole erano state frantumate, e successivamente sostituite, a causa di traumi spaventosi.
Ma era il suo lavoro ed era stato progettato per questo.
Ora, la sua colonna vertebrale non era più la stessa e, nel giro, lo canzonavano per il suo passo claudicante. Ma era un po’ la sua firma, ciò che lo rendeva riconoscibile.
Non soffriva a causa degli urti violenti.
Avvertiva solo un lieve fastidio quando cambiava il tempo. Chissà perché!
Lì all’obitorio, Sid non sentiva freddo.
In realtà, non sentiva proprio nulla.
Lui registrava e basta.
Infatti, finiva sempre per scontrarsi con Thor che, invece, per costruzione, era dotato di un sistema di rilevazione dei cambiamenti di stato, come per esempio la temperatura esterna.
“Certo che fa proprio caldo!”, disse un giorno Thor, come a vantarsi di una qualità che Sid non aveva e non poteva comprendere.
“In che senso?”, chiese Sid.
“Nel senso che fa caldo!”, fece Thor con aria di sufficienza.
“Spegni il termostato!”, consigliò Sid.
“Ma, sai, io ti sto parlando di quella sensazione per cui..”
“Quale sensazione?”
“Quando ti suda la pelle o..”
“Sarà un ristagno di liquidi! Non preoccuparti! Passa al laboratorio che ti sistemano!”
“No! Hai presente quando agiti le braccia per farti aria e…”
“E perché dovresti agitarle?! Guarda, sarà un problema articolare! Paco, giù nei sotterranei, ti rimette a nuovo in tempo niente! Tira di qua, disarticola di là e torni al lavoro!”
“Intendo caldo che hai voglia di bere! Di dissetarti! Uno spritz con ghiaccio e rinasco!”
“A parte il fatto che da contratto, secondo l’articolo 347, paragrafo 1, comma 9, non ci è possibile introdurre alcun liquido all’interno del corpo.. ma, come conti di farlo uscire dopo?! Tu non hai buchi!”
“Ma…”
“E lo so perché è di dominio pubblico che Pablo, il custode, ha tentato in più di un’occasione di creartene uno!”
“Non parlare così del mio Pablito!”
“E, poi, i capi sanno che bevi?! L’alcool test non è previsto per un crash dummy! Potresti invalidare le misurazioni! Scriteriato senza cervello!”
“Ah, no! Questo non puoi dirmelo! Ho più connessioni neuronali di te!”, protestò Thor.
“Guarda, Thor! Devo dirtelo! Sono solo costrutti matematici! Niente di biologico! Tutta roba artificiale! Come le tette di Daisy, la dummy per urti frontali! Per me gliele hanno fatte troppo grandi! Di una sproporzione pazzesca! E adesso si è pure convinta di essere solo un “manichino oggetto” e lamenta di non aver alcun sindacato cui rivolgersi perché vengano tutelati i suoi diritti e non sia oggetto di sfruttamento sessuale! …Ma, cos’è che mi avevi detto? Hai caldo?!”
“No! Ora ho mal di testa!”
“Mal di che?!”
Ed iniziarono un nuovo lungo dibattito.
Erano due mondi lontani, due diverse generazioni, ed era difficile comunicare.
Peccato che Sid e Thor non si rendessero conto che avevano molto in comune. Dopotutto, erano riproduzioni in scala di esseri umani.
Niente a che vedere con Valter, il manichino virtuale.
Si erano incontrati per caso un giorno che avevano portato Sid nella stanza dei computer per valutare la possibilità di installare nella sua testa uno strumento che calcolasse la capacità massima di torsione del collo.
Dopo quattro decapitazioni, Sid era sollevato all’idea di ridurre le probabilità di vedere rotolare sistematicamente la testa fuori dell’abitacolo.
Soprattutto dopo l’ultima volta in cui, per una straordinaria catena di eventi, la testa era schizzata fuori dal parabrezza in frantumi, atterrata nella ciotola dell’acqua di Zack, la mascotte dei tecnici, e finita contro una centralina elettrica, dove aveva fatto scattare un corto circuito che l’aveva incendiata.
Poco male. Un’occasione in più per valutare le conseguenze delle ustioni di terzo grado su una testa quasi umana.
Sid era devoto al suo lavoro, ma fu una seccatura.
Riebbe la testa dopo una settimana e, quando finalmente gliela rimontarono, si riscoprì biondo.
Era sempre stato castano.
Gli ci volle tempo per abituarsi al cambio di look, tanto più che per un errore del distributore, Sid aveva gli occhi viola.
E il viola e il giallo sono due colori osceni, insieme.
Sid era seduto davanti agli schermi e, benché cercasse di guardare altrove, c’era sullo schermo un dummy che lo fissava con insistenza e curiosità.
A prima vista, sembrava un manichino come lui, ma era vestito con jeans, maglietta di cotone bianca e scarpe sportive.
Sid, invece, non indossava vestiti.
Immaginò subito che l’abbigliamento del manichino virtuale rispecchiasse statisticamente il gusto medio degli esseri umani e ciò che con più frequenza indossano.
Dopo un po’, non poté fare a meno di parlare con Valter, che esordì con un: “Ti rendi conto di come sono vestito?!”
“Standard, direi…”, rispose Sid.
“Appunto! Quest’anno vanno i colori fluo e le borchie! Vestito così sembro uno dei tanti tecnici di questo lab! Senza stile! Senza colore!”
“E perché dovresti avere stile?”
“Perché qui, nel mio mondo virtuale, interagisco con altre persone! E non mi va di passare da poveraccio senza gusto!”
“Che significa che ‘interagisci’?”, chiese Sid incuriosito.
“Beh! Prima di schiantarmi a tutta velocità contro un palo della luce, di solito, esco con gli amici, vado a bere al pub, fumo un paio di paglie e parlo dei massimi sistemi! Insomma, si arriva al momento del crash dopo avere simulato una vita vera!”
Sid era perplesso. “Mi sembra antieconomico.”
“Ma lascia perdere le leggi di mercato!”, fece infastidito Valter. “Guarda alla convenienza sociale della mia simulazione!”
“Non ne ha.”, tagliò corto Sid. “Tu finirai comunque morto ammazzato dentro quell’auto! Potresti anche saltare il momento delle chiacchiere da bar e dei gin tonic! Il tuo destino prevedrà sempre che tu perda testa e arti! Tutto ciò che avviene ‘prima’ è dispersivo!”
Valter provò a replicare. “Ma è quello che avviene nella vita reale! Una grande catena di eventi senza senso che ti conduce alla morte!”
“Sì, ma tu non potrai mai scegliere di non uscire la sera, per esempio…”
“Ma chi ci vuole stare in casa?! Mettila così. A tutt’oggi sono morto 129 volte ma, prima, ho fatto un sacco di esperienze divertenti! Ho bevuto sangria sulla spiaggia di Alicante. Era frizzante, zuccherina, fresca e alcolica al punto giusto! Una delizia! Chissenefrega se poi sono finito fuori strada, dopo un testacoda, e precipitato giù per una scogliera rocciosa!
Sei mai stato al Carnevale di Rio? Laggiù sì che sanno divertirsi! In quella occasione, dopo sei rum e pera, quattro mojito e tre caipiriña, mi sono addormentato al volante e, onestamente, non ricordo più niente! Solo quando i tecnici mi hanno riprogrammato, ho scoperto che avevo fatto un frontale con un camion carico di banane!”
“E sei morto”, fece notare Sid.
“Certo! Ma, prima, ho imparato a ballare la samba!”
“Quindi?”
“Beh! A me non interessa morire. A me interessa tutto quello che avviene ‘prima’ del grande Boom!”, concluse Valter.
Sid aveva a lungo riflettuto sulle parole di Valter.
L’immagine che Sid aveva di se stesso era quella di uno strumento di calcolo e mai aveva desiderato essere altro.
Un calcolatore di variabili.
Velocità d’urto.
Forza di schiacciamento.
Decelerazione al momento della collisione.
Il suo scopo era l’utilità. L’essere utile al genere umano.
E Sid intendeva fare del suo meglio ed eseguire il suo lavoro ad opera d’arte.
Ciò che avveniva ‘prima’ o ‘dopo’ un impatto non riusciva ad interessarlo.
A Sid interessava solo il momento estremo del game over: quello per cui era stato costruito.
Non faceva altro che incontrare dummies, di tutte le specie e generazioni, alla ricerca di significati ultimi di un’esperienza fittizia.
Nessuno che si concentrasse solo sul fare, con scrupolo e dedizione, il proprio lavoro.
La forza di Sid era ubbidire sempre alla propria legge interiore, la legge di chi prova un piacere particolare nel fare bene le cose a cui si dedica.

Ma dicevamo che fu un semplice errore a condurre Sid all’obitorio.
Su tre catafalchi al centro della stanza erano sistemati altrettanti corpi.
Un cadavere a pezzi.
Un altro cadavere.
E un maiale. Anch’esso cadavere.
Sid li guardò e a voce alta commentò: “Beh! A me va meglio! Io sono riassemblabile! Non smetto di essere utile dopo la mia morte!”
“Ah! Se è per quello, neanche io!”, disse il cadavere a pezzi.
“Prego?!”, allucinò Sid.
“In realtà, sono morto la settimana scorsa. Solo questa mattina si sono decisi ad utilizzarmi!”
“Come utilizzarti?!”
“Ma sì! Pensavo che mi avrebbero parcheggiato qui a vita.. anzi, a morte! Eh, eh, eh! E, invece, crash! Eccomi qui! Mi hanno impiegato per un frontale tra due berline! Ci sono volute tre ore a raccogliere i pezzi!”
“Testano i cadaveri?!”. Sid strabuzzò gli occhi.
A rispondere, questa volta, fu il cadavere intero.
“Mr Tetris, qui, vuole dire che noi tre, compreso Mr Piggy alla mia destra - Posso chiamarti ‘Mr Piggy’? -”, chiese rivolgendosi al maiale che rispose con un deciso “Oink!”, che tutti interpretarono come un Sì. “Beh! Dicevo, noi tre rappresentiamo il tuo passato, Sid!”
Sid non capiva.
A rendere chiare le cose provò Mr Tetris.
“Prima che gli scienziati comprendessero l’economicità propria dell’impiego dei manichini per i loro esperimenti, la ricerca metteva in prima linea gli esseri umani!”
“Oink!”, ricordò il maiale.
“E i suini, sì!”, ammise Mr Tetris.
“Ma è disumano!”, notò Sid.
“No! E’ antieconomico!”
A quelle parole Sid trasalì. A furia di morire da essere umano, iniziava a pensare da essere umano. 
“Oink oink!”, fece notare il maiale.
“Proprio così!”, rispose Mr Tetris, “Testare i cadaveri ha poco senso. Un corpo inerte non reagisce ad un impatto nello stesso modo in cui reagirebbe un soggetto che respira! E, soprattutto, se impattando si fa in mille pezzi, poi è inutilizzabile per successive misurazioni!”
“Già! E, in generale, un corpo è inutilizzabile anche nel caso in cui la morte sopraggiunga dopo l’urto: come nel mio caso!”, convenne il cadavere intero.
“Come ‘dopo’?! Eri vivo al momento dell’impatto?!”, chiese Sid.
“Volontario!”
Sid era incredulo.
“Oink, oink, oink!”, commentò serio il maiale.
“Sì, hai ragione! Anche in questo caso è antieconomico!”, disse Mr Tetris.
Sid era un dummy progettato e tarato perché morisse sistematicamente in eventi ripetibili e statisticamente frequenti.
Era stato pensato per questo.
Non aveva mai immaginato che la sua stessa sorte fosse stata precedentemente condivisa da esseri umani, cadaveri o volontari vivi e vegeti.
Adesso, Sid era roso dalla curiosità e non era solito essere curioso dei fatti umani. Voleva proprio capire perché mai un uomo decidesse volontariamente di prendere parte ad esperimenti simili.
“Tu non ti rendi conto!”, rispose il cadavere intero, il volontario.
“Essere al centro della scena! Poter riferire delle sensazioni, delle riflessioni, delle paure vere nell’atto estremo dello scontro! Come un reporter! Un cronista all’assalto della notizia! Inviato speciale di un avvenimento eccezionale: la morte!”
“E infatti sei morto!”, fece notare Sid.
“Sì! E, adesso, ho un bagaglio di informazioni che potrei vincere un Pulitzer!”
“Ma sei morto!”
“Che c’entra?! Nessun altro uomo può vantare un curriculum come il mio!”
“OINK!”, insistette il maiale.
“Già! Sei morto! E adesso non puoi comunicare la tua esperienza” Anzi, non puoi comunicare più e basta! A chi sarà servita la tua memoria?”
Sid era scosso.
A prender parola, allora, fu il maiale.
“Oink, oink, oink! Oink, Oink!!”, e tacque assorto.
Aveva ragione il maiale.
In fondo, tutti i presenti erano chiamati a svolgere lo stesso lavoro. Chi per costruzione, chi post mortem, chi ante mortem e chi inconsapevolmente. Il maiale, ovviamente.
Nessuno però aveva riflettuto sugli esperimenti realizzati sui maiali.
Perché testare il maiale?
Il maiale è simile nella sua struttura interna all’uomo ed è in grado di mantenere la pozione seduta. Insomma, cosucce che non dovevano entusiasmare granché il maiale.
Sid fu preso da tanti pensieri e alla fine dovette ammettere che non aveva molto senso interrogarsi sul “come” gli uomini scegliessero di essere utili alla propria specie.
Ciascuno segue le strade che può e che conosce per arrivare dove crede in nome di una vita migliore per sé e i propri simili. Liberamente.
Tranne il maiale, s’intende.
E, forse, tutta questa storia di incidenti e test e sacrifici umani e suini, non era una totale perdita di tempo.
Ciascuno era lì per dare il meglio di sé, per essere parte di un momento scientifico altamente umanizzante.
Ancora una volta, ad eccezione del maiale.
Grazie ai test e alle varie misurazioni, veniva celebrata la vita.
Come sarebbe stata più bella la vita se si fossero potute evitare morti senza senso, dentro auto sparate a tutta velocità!
Sid si sentì allora fortunato.
Il maiale un po’ meno.
Non fortunato perché a lui la morte non sarebbe mai toccata.
No. Sid si sentì fortunato perché poteva testare, ancora e ancora, un sacco di morti e così accumulare dati su dati.
Fu contento di poter continuare a lavorare a lungo.
Non invidiava il futuro che i tre cadaveri in quell’obitorio avrebbero avuto fuori del laboratorio. E si parlava della possibilità di accumulare un gran numero di dati su cremazioni e sepolture varie!
Registrare a che temperatura i corpi iniziano a prender fuoco e a sciogliersi.
Quanto tempo impiegano le ossa a incenerirsi.
O osservare il tipo di vermi che si creano nella decomposizione. O ancora quale volume può raggiungere un corpo prima di esplodere per la pressione dei gas interni.
Beh! Per una volta, Sid non era interessato alla raccolta dei dati sensibili, per quanto fossero affascinanti in modo particolare per un calcolatore come lui.
Anche perché per Sid il futuro sarebbe stato eventualmente il disassemblaggio e, quindi, la fine di qualsivoglia tipo di analisi.
Molto meglio continuare a fare ciò per cui era stato costruito.
E fare le cose per bene.
Per gli uomini.
Osservare.
Memorizzare.
Ricominciare.
Ricominciare sempre.
Fare il proprio lavoro.
E non morire mai.


FINE


giovedì 2 ottobre 2014

L'ARCOBALENO DEI DESIDERI

L’ARCOBALENO DEI DESIDERI



Tra soffici e bianche nuvole
se ne stava Iris ad ascoltar le favole.
Iris era un lungo arcobaleno
che nel cielo si allungava sereno.
Poggiava la testa in un paese del mondo
e affondava i piedi in un mare profondo.
Era così grande la sua mole
che alla vista lasciava senza parole.
Dicevano che Iris esaudiva desideri
e magici in realtà eran i suoi poteri.
Le creature della Terra seguivan la volta celeste
per avanzare le loro richieste.
Iris ascoltava di tutti i bisogni
e ne accontentava i sogni.

Una sera fresca, quasi al tramonto
si presentò una coccinella con un racconto.
“Sono nata con le mie sorelle
in una notte incantata di stelle.
Al buio della notte sembravam tutte gemelle
ma al mattino ridevano di me, le monelle!
Perfetto il loro manto rosso e nero
mentre il mio era oscuro per davvero!
Quante lacrime ho versato nel mio nido sconsolato!
Ma, ora, qui davanti a te
chiedo quello che non c’è.
Te ne prego, arcobaleno, 
al mio pianto poni un freno!”
E il cuore di Iris, che era delicato,
provò a cambiare il colore deprecato.
Prova e riprova, una soluzione sempre si trova!
“Un rimedio originale oggi ho letto sul giornale!
Con eleganza esigi, alla moda di Parigi
che il tuo color faccia tendenza
e poi vedrai che differenza!
Tutta rossa coi pallini neri:
sarà un successo di quelli veri!”
Alla coccinella lacrimona sembrò più di una corona.
Si sentì una principessa e dei coleotteri campionessa.
Volò veloce e sorridente:
addio vita deprimente!

Dal mare una stellina un po’ sbiadita
uscì tremante e infreddolita.
“Stando qui sempre in ammollo
del mio colore ho perso il controllo!
Starnutisco da mattina a sera,
mi ci vorrebbe una preghiera!
La mia preghiera è presto detta
a te che di soluzioni sei provetta:
Ravviva il mio aspetto
e in cambio riceverai il mio affetto!”
“Oh stella che perde il suo bagliore,
ti assicuro una luce maggiore!
La tua salute mi sta a cuore
e comprendo il tuo languore.
Ti ci vogliono acque calde per tonalità ben salde!
Poiché nel mar vai senza sosta
porterai il color dell’aragosta!”
E gonfia di emozione scivolò via tutta arancione.
E così la stella di mare 
dalle onde tornò a farsi accarezzare.

Un draghetto piccolino, tutto solo e sconsolato,
arrivò tutto d’un fiato.
Coperto da un mantello bigio
quando lo tolse si scoprì tutto grigio.
“Per favore, arco multicolore,
alleviami dal mio dolore!
Il colore del mio manto è dei nuvoloni scuri
ma uno rigoglioso, invece, spero mi procuri!”
“Tra le piante, i prati e i boschi 
col tuo volo il cielo offuschi.
Ma il tuo vero manto, alata creatura,
è il color della natura!
Che sia verde la tua ala
ed ora, forza! il fuoco esala!”
Il draghetto ringraziò e tra fuoco e fiamme se ne andò.

Sul pelo dell’acqua saltellava
un pesciolino bianco che piagnucolava.
Disse timido il pescetto con un piccolo tuffetto:
“Nuoto nell’acqua, il mio elemento,
ma quasi non mi si vede: che tormento!
Tu, che dei colori sei regina,
donami l’azzurro stamattina!”
Ed Iris che era buona e generosa, l’azzurro gli donò.

Un mattino di buon’ora
quando il mondo dorme ancora, 
del gran Sole lo sbadiglio
fu per Iris un abbaglio.
“Grande astro risplendente 
per il mondo sei attraente!
Mille versi ai poeti ispiri 
e ancor più sono i sospiri!
Ma qual è, per cortesia, 
il color della tua poesia?”, chiese l’arcobaleno.
“Fra tutti i colori del tuo arco
ce n’è uno che rimarco!
Esso è il giallo incandescente
e lo indosso abitualmente!
Se potessi, in verità,
preferirei un bel lillà!”
Al che, Iris con un sorriso
promise al Sole quanto deciso.
“Fra tutti il giallo è tuo alleato
giacche con esso fosti creato.
Se vorrai una nuova sfumatura,
che si addica alla tua altura,
ti consiglio due colori:
aumenteranno i tuoi valori!
D’indaco talora il cielo si colora
e le stelle tutte del firmamento
ringraziano insieme per il portento.
Anche il violetto arriva a prima sera
per rinfrescare la volta aerea.
Quindi, ecco: per te ho pensato
il binomio qui prospettato.
Indaco e violetto: due nuovi e solerti alleati
pronti a vivere allegri e beati!”
Ed il Sole grato e soddisfatto
saltellò felice come un matto!

Solo restò da esaudire
un desiderio ancora da udire:
quello della farfalla dalle ali immacolate
che teneva ben raggomitolate.
La farfalla era insicura e viveva nella paura
perché le sorelle vanitose
eran con lei assai dispettose.
Le sciocche ridevano per il suo pallore
non immaginando il suo dolore
mentre lei si sognava multicolore.
Per fortuna del delicato insetto,
Iris poteva rimediare a quel difetto.
Come fosse iscritto in un lieve velo
Iris era una spaccatura del cielo.
Un arco dal curvilineo verso
da cui fluiscono i colori dell’universo.
Prese tutte le tonalità gioiose
ed ella ebbe infine ali vezzose.
Di tutti i colori poté vestire
e finalmente le sorelle zittire.

Così finisce la storia di un arcobaleno
che per tutti si adoperava senza freno.
E, ricorda sempre, amico caro
che di donar te stesso non devi esser avaro!




FINE

venerdì 11 aprile 2014

AL TELEFONO

AL TELEFONO

- Radio taxi Donna Futuro, Buonasera!
- Ciaaaooo!
- ?! Mi dica, sono Luana!
- …e, di preciso, cosa fai tu Luana?
- Parlo con lei!
- Bene, bene! Non so in quanto tempo potrei venire…
- Non si preoccupi! Saremo velocissimi!
- Meglio! Sa, ho mia moglie che dorme nell'altra stanza…
- Tranquillo! Non faremo rumore! Mi dia l'indirizzo e saremo da lei!
- L'indirizzo! Servizio a domicilio! Ma io non sapevo…! Siete proprio organizzati…
- Certo! Come potremmo fare questo lavoro altrimenti? Noi arriviamo e la portiamo in ogni dove!
- Aahhh! Sì! Portami dove sai..
-  Beh! A dire il vero non saprei.. Deve dirmelo lei!
- Oh, certo, certo.. Con la sua voce suadente potrebbe condurmi.. per esempio.. sulla luna..
- Sta scherzando!?! Mi dica un indirizzo, per favore!
- Com'è fiscale, però…  Andiamo al mare.. ho voglia di sognare.. spiagge deserte.. palmizi.. tutti nudi..
- Sssii! Quindi, via?
- Eh! Ma! Luana, un po' di fantasia!…. comunque, sei vestita?
- !?! Perché vuole saperlo? Ho una divisa…
- Ah… la divisa! Poliziotta?
- Macchè!
- Infermiera?
- No! Ma mi sta facendo venire il mal di testa!
- Oh, povera cara! Potrei farti un massaggio rilassante alle tempie.. con olio profumato al patchouli e rabarbaro che.. ti farei vedere le stelle! E' così sensuale…
- E chi le ha detto che vorrei un massaggio?!
- Ah! …una dominatrice! Niente massaggio! Se ho sbagliato, puniscimi, mia signora! Schiaffeggiami! Calpestami!
- Non mi permetterei mai! Potrei perdere il posto!
- Oh, infinita dolcezza! Ti piace pregare allora?
- Senta, la prego…
- Se è quello che vuoi… mi eccita, sai? Troia ingorda! Dimmi cosa vorresti che ti facessi! Ti stai toccando, eh?! Sei tutta bagnata, eh?!
- Senta! Io sto per perdere la pazienza!
- Stai già per venire, porcellina?!
- Ma…?! Insomma, vuole darmelo questo indirizzo o no?!
- Te lo do tutto… Sììì!!
- Evviva Maria!
- Sììì!! La Madonna! La vedo!
- E' vicino ad una chiesa, allora?!
- No! Sono direttamente in paradiso!
- Ma, da dove mi sta chiamando?! Dal cimitero?!
- Mai stato più vivo, dolcezza!
- Allora, dall'ospedale: lei è pazzo!!
- Vuoi il mio cazzo?! Ancora?! Certo che sei depravata..!
- Cerco solo di assecondarla.. ma adesso chiudo!
- Aspetti! Posso richiamarla?
- Solo quando avrà deciso se ha bisogno di un taxi oppure no!
- Un taxi?!
- E' da un'ora che le chiedo un indirizzo per inviarle un autista!
- Non doveva venire qui lei?!
- Lì?! No! Io ricevo le telefonate e le smisto ai tassisti!
- Tassisti?!
- Radio Taxi Donna Futuro, ricorda?! Ha chiamato lei!
- Ma non era "Real Sexy: Vieni Sicuro"?!
- Secondo lei?
- No… Mi avevano detto "…il miglior servizio della città"…!
- Lo siamo, infatti! Solo che non facciamo servizietti!
- Ehm… Senta, non mi serve un taxi…
- Lo avevo capito!
- E che facciamo, allora?
- Beh! Io ho finito il turno.. e andrò a casa.. lei potrebbe andare a cambiarsi le mutande..
- Eh! Non sarebbe una cattiva idea..
- …Comunque.. mi piaceva il suo tono risoluto..
- Davvero?!
- Senta, me lo vuole dare il suo indirizzo?
- Calle Luisa Rosado, 78!
- Sarò da lei in cinque minuti!
- Ah! Che efficienza! Che tempestività!  Non c'è che dire… Il miglior servizio della città!

FINE



lunedì 17 marzo 2014

LA VITA SOGNATA DAGLI ANGELI

LA VITA SOGNATA DAGLI ANGELI


Con uno sguardo poteva abbracciare il mondo.
Sospesa fuori dell'atmosfera terrestre, Celeste osservava silenziosa il tempo.
Non aveva mai vissuto l'adesso, l'ora.
Il suo mondo era l'eterno, l'immutabile e non aveva colore né odore.
Attraversava le stelle e guardava incantata la vita degli uomini che vivevano sotto i suoi occhi.
Ne vedeva le attese, i ripensamenti, i sorrisi, gli incontri casuali.
Osservava il caos umano, il dipanarsi di vite, l'aggrovigliarsi di sentimenti ed emozioni.
Celeste non sapeva cosa fosse bere un caffè, passeggiare sulla riva del mare, bagnarsi le mani o sentire l'odore polveroso della terra.
Abbracciare un uomo.
Quello la incuriosiva di più di qualunque altra cosa.
I corpi che si intrecciano, i visi che si avvicinano, il calore delle mani, la forza di braccia che stringono, il cuore che pulsa.
Celeste esisteva da sempre.
Aldilà del tempo, Celeste assisteva al susseguirsi delle stagioni, alle fioriture multicolori in primavera, al pellegrinaggio di file di uomini verso il mare in estate, alla maturazione di turgidi grappoli d'uva e alla loro raccolta succosa mentre il vento fischia forte e comincia a gelare gli alberi ormai vuoti dei loro frutti.
Con uno sguardo, raggiungeva ogni luogo della Terra.
E sapeva tante cose che gli uomini non immaginavano neppure.
Aveva imparato che in una pianura costiera di una regione d'Italia c'era, racchiuso tra due promontori, un piccolo fazzoletto di spiaggia con una sabbia bianca davanti ad un mare trasparente.
E questa sabbia suonava.
Potevi sentirne la melodia ogni volta che qualcuno la calpestava.
O quel paese, all'estremo sud della Spagna, divorato dalle rocce.
Scolpito, inglobato tra le pietre.
Case bianche che rifuggono la luce, protette da blocchi millenari, muti e freschi.
E nel fondo degli abissi, Celeste sapeva di una statua raffigurante il Cristo degli uomini che, con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso la luce in superficie, era un santuario sommerso.
Un tempio per tutti quelli che nel mare avevano riposto passione e vita.
C'era poi un forte militare, tra le alte montagne dell'India, per raggiungere il quale dovevi percorrere migliaia di gradini scavati a mano nella roccia.
Ti sembrava di salire fino al cielo e toccare le nuvole o trovare Dio.
A Celeste piaceva molto perché era una limpida prova della determinazione dell'uomo ad elevarsi su, sempre più su, alla ricerca di cosa o di chi lei non capiva bene, ma provava una rispettosa ammirazione per quel tenace desiderio di superamento di se stessi.
Era questa una delle cose che la affascinava maggiormente.
L'ignoranza. La dotta ignoranza dell'uomo.
Fiducioso della propria ragione e consapevole di essere di passaggio, finito su una Terra vecchia di millenni, l'uomo affida alla propria anima la ricerca dei significati del mondo.
Perché l'uomo sa che tutto ciò che ha a che fare col vivere e il respirare e l'esistere è qualcosa di non definitivo, destinato all'evoluzione.
Ma il mondo di Celeste era immutabile e il suo sapere illimitato.
Non aveva curiosità del mondo, infatti.
Celeste era curiosa solo dell'uomo.
Della poesia umana.
La poesia che racconta. 
La poesia che cambia.
Cambia gli animi, innalza gli occhi, vivifica tutto.
La creazione umana. Il potere dell'immaginazione.
La fantasia.
Celeste avrebbe voluto scendere finalmente sulla Terra e sporcarsi.
Sporcarsi di tutta quella vita. 
E respirare l'aria e sentirne gli odori.
Calarsi nell'oceano e riemergere alla vita dopo un naufragio.
Bruciarsi al sole del deserto e così per la prima volta sentire il calore.
E masticare il cibo e provare piacere.
O provare dolore. E comprendere perché gli uomini piangono e gridano quando sono feriti e sembrano spezzarsi per poi rinascere in forme nuove.
Gli uomini che sperano. E ardono di fuoco vivo. 
E amano. Di un amore semplice, vestito di luce bianca.
Comprendere perché gli uomini muoiono ma continuano a sognare.
Continuano sempre a sognare.

Ma Celeste era un angelo.  

lunedì 10 marzo 2014

DIALOGO MITOLOGICO

DIALOGO MITOLOGICO


- "Ciao! Mi chiamo Elena. E sono un archetipo!".
- "Ciao, Elena! Benvenuta!".
Ecco.
Fino al giorno prima, Elena era stata solo un'immagine primigenia, un'idea universale.
Ma oggi aveva preso corpo e forma.
Non forma del pensiero e dell'immaginario umano.
No. Forma fisica.
Ed aveva una forma bellissima.
In realtà, era chiaro che l'avesse, perché Elena era l'archetipo della bellezza.
Ma cosa ci faceva un'idea innata, un simbolo ricorrente tra gli esseri umani, sulla Terra?
E cos'era quel gruppo in cui era finita?
Chi erano quelle persone?
Erano sedute in cerchio, avevano un aspetto eccentrico e sembravano tutti fuori luogo, come lei.
Si accorse che la stavano fissando, in attesa che continuasse la sua presentazione, ma Elena non aveva idea di cosa avrebbe dovuto dire e perché.
Così fece una domanda.
- "Chi siete?".
Il gruppo era costituito da quattro personaggi davvero singolari.
C'era una donna, bellissima ma dallo sguardo cattivo, che reggeva sulle gambe un vaso e sembrava morisse dalla voglia di aprirlo.
- "Io sono Pandora. E questo è Secret, senza il quale sarei persa!
Dentro c'è il necessario per la mia sopravvivenza! 
Smalti, make-up, asciugacapelli.. cose così! Vuoi vedere?!", chiese con occhio avido.
- "Io non lo farei! E' grazie a lei se esistono i mali del Mondo! E io lo avevo detto! Ma, mi dà retta mai qualcuno?! Mai!
Quando arriva l'ora del caffè? Facciamo una pausa? Voglio un caffè!".
Cassandra. 
Era una giovane vestita da indovino, con un lungo vestito azzurro e adornato da un numero esagerato di amuleti, portafortuna, talismani.
- "Piacere! Sono Madame Cassandra!
Io ho la preveggenza! E vedo il tuo futuro!
Tra rapimenti, tradimenti e guerre sarai al centro di un bel casino!".
- "Non ci credo!", disse Elena turbata.
- "Eccone un'altra! Ma perché non mi credete?!"
Insomma, si può avere sto caffè?!".
- "Beh! Io sono un archetipo: Non è colpa mia!", disse Elena.
- "Lo so, baby! E' il tuo destino!
Non sarai mai responsabile per i danni e i lutti che provocherai.. ma, sappi, che Paride e Menelao si giocheranno ai dadi la tua compagnia in un postribolo di Sparta, altro che rapimento!".
- "E'una bugia!".
- "Sì, questa volta sì! Tanto non mi crede mai nessuno!".
Elena abbassò lo sguardo, lei che non lo abbassava mai, lei che era divina e da tutti contesa e desiderata.
Si sentiva sola, quasi disperata. Uno stato d'animo, la disperazione, che sembrava accompagnarla durante tutta la sua esistenza.
- "Sai cosa faccio quando mi sento solo e triste, zucchero?".
A parlare fu un giovane dall'aspetto del rivoluzionario in erba, con una sigaretta per mano e due sistemate, rispettivamente, sull'orecchio destro e nel taschino della giacca di vellutino beige al posto del fazzoletto.
- "Cosa fai?", chiese Elena con gli occhi umidi.
- "Do fuoco a qualcosa, zucchero!
Solo che qui mi vietano tutto!
Il fuoco, il semplice pensiero, la libertà!".
- "Perché? E tu chi saresti?".
- "Perché?! Perché io mi ribello!
Sfido le autorità e le imposizioni!
Io dico NO al mito, alla falsificazione, all'ideologia!".
- "Cara! Prometeo non ti dice che gli vietano l'uso del fuoco perché, con la scusa magnanima di condividerlo con gli uomini, quasi incendiava la residenza di Era ad Aspen… e tu sai quanto è suscettibile Era!", intervenne Cassandra.
Elena era davvero sempre più confusa.
Cosa faceva tra quelle persone?
Chiaramente erano pazzi.
Eppure anch'essi personaggi mitologici.
- "Ma, insomma, dove sono? Cos'è questo posto?!", indicando il cerchio di sedie umane in cui era seduta.
- "Si chiama gruppo di auto-aiuto!", disse uno vestito da postino con una sacca piena di lettere e piccoli pacchi posta ai piedi della sua sedia.
- "Piacere, Ermes!
Smisto la posta, porto messaggi, comunico ordini e punizioni varie.
Pura manovalanza.
Ma un giorno, sentirete parlare di me!", disse con gli occhi gonfi di speranza.
- "Ermes vorrebbe diventare un comico, sfondare nello showbiz!", disse Pandora con uno sguardo disgustato.
- "Ermes il Briccone!" Non suona bene? Secondo me, sì!", disse Ermes.
- "Tanto farai sempre e solo scenette ridicole in produzioni scadenti con attori infimi in bettole morose di Atene! E' così! Mi spiace!", disse Cassandra.
- "Ma porca puttana, Cassie! Magari io sono l'eccezione alle tue premonizioni!".
- "Non è mai capitato in secoli, caro!", insistette Cassandra.
- "Se solo credeste in me…!", piagnucolò Ermes.
- "Ma guarda che io credo in te, tesoro!
E' che non hai futuro nello spettacolo!
Ma, come postino, guarda: entrerai nel mito!".
- "Sai che soddisfazione!", continuò Ermes.
Zeus mi invia nei posti più remoti a recapitare messaggi e pacchi a chiunque.. Perfino a sua moglie!
Non sono in buoni rapporti… diciamo che non si sopportano proprio!
Era, poi, ha un tale caratteraccio!"-
- "L'ho già detto io! Ma qui tanto…", disse Cassandra.
- "E chi deve cercare di mediare? Io!", continuò Ermes.
- "E quella volta che dovetti consegnare una raccomandata al Minotauro?! Lunghi corridoi e labirinti per arrivare al suo loft e niente! Non lo trovai!
Mi portai allora quella scema di Arianna che per tutto il tempo volle giocare a nascondino e fare l'uncinetto!
Ve lo dico io! Lavoro infame, sottopagato e sindacalmente rappresentato solo da me!
Lavorerò in eterno!".
D'un tratto, Elena riconobbe quel circo colorato popolato da folli divertenti e ricordò anche perché si trovasse lì.
Lo aveva dimenticato.
Così come aveva dimenticato di condividere da millenni, con quei personaggi, favole e storie e sogni.
Soprattutto, Elena aveva dimenticato chi fosse.
Da tempo, si interrogava su cosa fosse la bellezza, lei che incarnava l'eterno femminino.
Allora prese a studiare le proprie forme, alla ricerca di se stessa.
Cercava risposte e sapeva che le avrebbe trovate dentro, nel profondo dell'anima, e fuori, sulla pelle, dove l'occhio si posa indagatore.
Il suo corpo era un altare sacro al di là del tempo e dello spazio, grazie al quale l'uomo poteva sognare e immaginare e realizzare se stesso autenticamente.
L'uomo diventava artista, grazie e lei, e poteva lasciare segno di sé nel mondo.
- "Quindi sono un modello di perfezione.
Esisto per ispirare gli uomini.", si disse.
- "Perché c'hai culo!", intervenne Pandora.
- "Prendi me! Che mi manca?!
Sono bella e perfetta in ogni occasione! Regina del make-up grazie al mio Secret!
…A proposito, ti va di vedere cosa c'è dentro?", riprovò Pandora.
- "No, cara! Grazie.", rispose con un sorriso Elena.
- "Umpf!", riprese Pandora, "Eppure, la gente continua ad accusarmi dei mali del mondo! A me!".
- "Ed io allora?!", fu Cassandra a parlare, "Non mi crede mai nessuno!".
- "Non è vero!", le fecero eco tutti.
- "Appunto!".
- "La gente.. il mondo.. Diamogli fuoco!", propose Prometeo. "Chissenefrega della gente! 
Certo.. Pandora cara, devo dirtelo però!
Stai sempre co sta scatola in mano!"
- "Secret!"
- "Sì! Lui! Sempre a voler aprirlo..
Secondo me soffri di un disturbo ossessivo-maniacale! La gente si spaventa!"-
- "E Cassandra?!", fece Ermes, "E' più forte di lei! Deve sempre rovinarti la festa!
Tu sei felice? E lei :'Morirai di cirrosi, hai poco da ridere'.
Sei allegro per la promozione al lavoro? E lei :'Verrai presto licenziato. Ti beccheranno su YouPorn durante le ore di lavoro.'
Insomma, un dito al culo!".
- "Vogliamo parlare di Ermes?!", propose Pandora.
"Quella del pappagallino sordo che fa gestacci perché non può dire parolacce è una delle storielle più fesse che io abbia mai sentito!".
- "Tu proprio non vuoi capire!", intervenne Ermes stizzito.
"E' un colpo di genio!
Il pappagallino muto che segna con le ali!
E' una barzelletta garantista!
Con un solo colpo aggrego schieramenti variegati! 
Animalisti! Educatori sociali! Insomma, un'arguzia politicamente corretta!".
- "Senti, perché non ti inventi storie sui postini?!", buttò lì Pandora.
- "Io sono un grande artista! Il postino lo faccio solo per gli Dei e non ho intenzione di farlo a vita!", rispose Ermes.
- "No, Davvero!", insistette Pandora, "Senti questa! 
Cosa dice la pentola al postino? …C'è pasta per me?!".
- "Fa cacare!", commentò schifato Ermes.
- "Allora senti quest'altra! Come camminano i postini? …Con passo spedito!"
- "Ne hai ancora di queste barbarità?!"-
- "Certo! Senti.. A casa ho un enorme rottweiler. Non ho nessun problema con i ladri, me è anche un anno e mezzo che non ricevo posta!".
- "Sapete che io inizio a divertirmi?", disse Cassandra.
- "Scherzi?! Queste battute sono un insulto al nobile teatro comico d'ispirazione goldoniana… altro che Shakespeare!", rispose Ermes.
- "Ah, beh! Sì.. date retta ad Ermes.. dopotutto.. un postino va preso sempre.. alla lettera!", continuò Pandora.
- "Oh, insomma ragazzi!", proruppe Elena.
"Siamo tutti qui per una ragione!
Accettare la nostra eternità! Così come essa è!
Nessuno è mai pienamente soddisfatto di se stesso. C'è sempre una frattura… una discrepanza fra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo.
Ma occorre prendere questa forma che ci è stata data e sublimarla!".
- "Facile per te che sei l'archetipo della bellezza!", disse Cassandra.
"Ma prendi Efesto! Zoppo e sfortunato in amore! La sfiga personificata!".
- "E quanto è brutto!", intervenne Pandora.
- "Aspettate solo un momento!", disse Ermes, "State a lamentarvi Voi?!
Io sono l'unico tra gli Dei dell'Olimpo che lavora! 
Nessuno ha uno straccio di occupazione seria!
C'è chi suona l'arpa tutto il giorno, chi beve il vino in coppe dorate, chi si trastulla a tresette e poi ci sono io!
Gli Dei, per definizione, non fanno un cazzo!
Ma io no! E non andrò mai in pensione!".
- "Capisco la tua angoscia, Caro Ermes!", disse Elena.
"Ma, vedi, noi siamo qui per ricordarci di noi.
La gente si è scordata cosa sia la bellezza o la giustizia.. ma la storia di Prometeo ricorda cosa sia il coraggio e la generosità.. Cassandra insegna cosa sia l'onestà intellettuale e la sincerità a tutti i costi.. Pandora rappresenta la curiosità e la voglia di superamento nonostante i mali del mondo.. e tu, Ermes, col tuo lavoro efficiente, ci ricordi che dobbiamo sempre sorridere..
Non dobbiamo scordarlo. Siamo stati creati per questo.
Creati dalla fantasia, dall'immaginario umano per significare il mondo, per dare senso alla vita, per ricordare agli uomini che possono essere migliori.
Ma in questo modo, anche noi diventiamo umani.
Come non rendersene conto?
E' la forza dell'umanità!
Essa permea di sé perfino i simboli… i sogni.
Gli archetipi che si umanizzano.
E' questa la nostra sublimazione.
Fonte d'ispirazione eppure ispirati dalla colorata, caotica, fuggevole finitudine umana.
Il nostro è un sottile equilibrio, su cui danzano emozioni e forme e ritmi degli uomini.
Io ho scoperto che questa è la vera bellezza.
In questo io trovo il mio compimento.
E' l'uomo con la sua vita ad insegnarmi la bellezza."
- "Sì, ma le barzellette umane sui carabinieri non si possono sentire!
Io, di certo, quelle non le ho ispirate! Non c'entro!", disse Ermes.
- "Grande Giove, Ermes! La fai sembrare una tragedia greca! Quelle storielle non sono poi così male! E ce ne sono a migliaia!", disse Cassandra.
- "Purtroppo, vorrai dire! …Beh! Si è fatto tardi.. Per oggi direi che può bastare.. E poi devo ancora smistare un sacco di posta!
..E portare uno stock di forbici che le Parche hanno comprato su eBay ma che hanno scoperto essere arrugginite! Dicono che non riescono a tagliare nessun filo della vita mortale, così! Non possono lavorare! Un casino!", concluse Ermes. "Volo! Ci si vede!".
- "Io devo proprio portare Secret dal fabbro.. ha la chiusura difettosa.. e, conoscendo Efesto, starà ore a parlarmi dei poteri del fuoco di liquefare qualunque cosa!", disse Pandora.
- "Fuoco?! Posso venire con te?", chiese Prometeo.
- "Solo se prometti di tenere le mani in tasca!". E uscirono.
- "Io devo, invece, andare a casa di Psiche ed Eros. Vogliono che faccia loro le carte.
In realtà, devo fare da consulente matrimoniale! E convincere Psiche che deve avere pazienza con Eros! Non è un bambino viziato! Solo un esibizionista a cui piace girare col culo all'aria!", confidò allargando le braccia Cassandra, "Ma tanto non mi crederà! Alla prossima settimana, cari!".
Andarono tutti via.
Elena rimase da sola.
Si sentiva meno sola, adesso. Meno disperata.
La sua era una famiglia di squilibrati, ma una famiglia divina, che l'avrebbe accompagnata per millenni ancora a venire… che l'avrebbe accompagnata per l'eternità. Che mai l'avrebbe lasciata sola.
Così sorrise.



FINE