venerdì 3 ottobre 2014

CRASH DUMMY

CRASH DUMMY



Era stato un semplice errore.
Capita.
Quelli del laboratorio avevano fatto confusione e avevano portato Sid all’obitorio.
Sid, che per professione doveva registrare ogni dato possibile con assoluta imparzialità e precisione, non si era scomposto più di tanto.
Lo avevano lasciato su una sedia e lì avrebbe aspettato finché non lo avessero recuperato.
D’altra parte, anche volendo, non avrebbe potuto muovere un muscolo o un’articolazione.
Sid era un crash dummy.
Certo, un manichino standard, niente di eccessivamente raffinato o avanzato come il collega Thor, manichino di ultimissima generazione, dotato di pelle scamosciata e mente digitale, connesso ai più sofisticati calcolatori scientifici.
Sid testava auto familiari. Era un “manichino per l’urto laterale” e tutte, ma proprio tutte, le sue costole erano state frantumate, e successivamente sostituite, a causa di traumi spaventosi.
Ma era il suo lavoro ed era stato progettato per questo.
Ora, la sua colonna vertebrale non era più la stessa e, nel giro, lo canzonavano per il suo passo claudicante. Ma era un po’ la sua firma, ciò che lo rendeva riconoscibile.
Non soffriva a causa degli urti violenti.
Avvertiva solo un lieve fastidio quando cambiava il tempo. Chissà perché!
Lì all’obitorio, Sid non sentiva freddo.
In realtà, non sentiva proprio nulla.
Lui registrava e basta.
Infatti, finiva sempre per scontrarsi con Thor che, invece, per costruzione, era dotato di un sistema di rilevazione dei cambiamenti di stato, come per esempio la temperatura esterna.
“Certo che fa proprio caldo!”, disse un giorno Thor, come a vantarsi di una qualità che Sid non aveva e non poteva comprendere.
“In che senso?”, chiese Sid.
“Nel senso che fa caldo!”, fece Thor con aria di sufficienza.
“Spegni il termostato!”, consigliò Sid.
“Ma, sai, io ti sto parlando di quella sensazione per cui..”
“Quale sensazione?”
“Quando ti suda la pelle o..”
“Sarà un ristagno di liquidi! Non preoccuparti! Passa al laboratorio che ti sistemano!”
“No! Hai presente quando agiti le braccia per farti aria e…”
“E perché dovresti agitarle?! Guarda, sarà un problema articolare! Paco, giù nei sotterranei, ti rimette a nuovo in tempo niente! Tira di qua, disarticola di là e torni al lavoro!”
“Intendo caldo che hai voglia di bere! Di dissetarti! Uno spritz con ghiaccio e rinasco!”
“A parte il fatto che da contratto, secondo l’articolo 347, paragrafo 1, comma 9, non ci è possibile introdurre alcun liquido all’interno del corpo.. ma, come conti di farlo uscire dopo?! Tu non hai buchi!”
“Ma…”
“E lo so perché è di dominio pubblico che Pablo, il custode, ha tentato in più di un’occasione di creartene uno!”
“Non parlare così del mio Pablito!”
“E, poi, i capi sanno che bevi?! L’alcool test non è previsto per un crash dummy! Potresti invalidare le misurazioni! Scriteriato senza cervello!”
“Ah, no! Questo non puoi dirmelo! Ho più connessioni neuronali di te!”, protestò Thor.
“Guarda, Thor! Devo dirtelo! Sono solo costrutti matematici! Niente di biologico! Tutta roba artificiale! Come le tette di Daisy, la dummy per urti frontali! Per me gliele hanno fatte troppo grandi! Di una sproporzione pazzesca! E adesso si è pure convinta di essere solo un “manichino oggetto” e lamenta di non aver alcun sindacato cui rivolgersi perché vengano tutelati i suoi diritti e non sia oggetto di sfruttamento sessuale! …Ma, cos’è che mi avevi detto? Hai caldo?!”
“No! Ora ho mal di testa!”
“Mal di che?!”
Ed iniziarono un nuovo lungo dibattito.
Erano due mondi lontani, due diverse generazioni, ed era difficile comunicare.
Peccato che Sid e Thor non si rendessero conto che avevano molto in comune. Dopotutto, erano riproduzioni in scala di esseri umani.
Niente a che vedere con Valter, il manichino virtuale.
Si erano incontrati per caso un giorno che avevano portato Sid nella stanza dei computer per valutare la possibilità di installare nella sua testa uno strumento che calcolasse la capacità massima di torsione del collo.
Dopo quattro decapitazioni, Sid era sollevato all’idea di ridurre le probabilità di vedere rotolare sistematicamente la testa fuori dell’abitacolo.
Soprattutto dopo l’ultima volta in cui, per una straordinaria catena di eventi, la testa era schizzata fuori dal parabrezza in frantumi, atterrata nella ciotola dell’acqua di Zack, la mascotte dei tecnici, e finita contro una centralina elettrica, dove aveva fatto scattare un corto circuito che l’aveva incendiata.
Poco male. Un’occasione in più per valutare le conseguenze delle ustioni di terzo grado su una testa quasi umana.
Sid era devoto al suo lavoro, ma fu una seccatura.
Riebbe la testa dopo una settimana e, quando finalmente gliela rimontarono, si riscoprì biondo.
Era sempre stato castano.
Gli ci volle tempo per abituarsi al cambio di look, tanto più che per un errore del distributore, Sid aveva gli occhi viola.
E il viola e il giallo sono due colori osceni, insieme.
Sid era seduto davanti agli schermi e, benché cercasse di guardare altrove, c’era sullo schermo un dummy che lo fissava con insistenza e curiosità.
A prima vista, sembrava un manichino come lui, ma era vestito con jeans, maglietta di cotone bianca e scarpe sportive.
Sid, invece, non indossava vestiti.
Immaginò subito che l’abbigliamento del manichino virtuale rispecchiasse statisticamente il gusto medio degli esseri umani e ciò che con più frequenza indossano.
Dopo un po’, non poté fare a meno di parlare con Valter, che esordì con un: “Ti rendi conto di come sono vestito?!”
“Standard, direi…”, rispose Sid.
“Appunto! Quest’anno vanno i colori fluo e le borchie! Vestito così sembro uno dei tanti tecnici di questo lab! Senza stile! Senza colore!”
“E perché dovresti avere stile?”
“Perché qui, nel mio mondo virtuale, interagisco con altre persone! E non mi va di passare da poveraccio senza gusto!”
“Che significa che ‘interagisci’?”, chiese Sid incuriosito.
“Beh! Prima di schiantarmi a tutta velocità contro un palo della luce, di solito, esco con gli amici, vado a bere al pub, fumo un paio di paglie e parlo dei massimi sistemi! Insomma, si arriva al momento del crash dopo avere simulato una vita vera!”
Sid era perplesso. “Mi sembra antieconomico.”
“Ma lascia perdere le leggi di mercato!”, fece infastidito Valter. “Guarda alla convenienza sociale della mia simulazione!”
“Non ne ha.”, tagliò corto Sid. “Tu finirai comunque morto ammazzato dentro quell’auto! Potresti anche saltare il momento delle chiacchiere da bar e dei gin tonic! Il tuo destino prevedrà sempre che tu perda testa e arti! Tutto ciò che avviene ‘prima’ è dispersivo!”
Valter provò a replicare. “Ma è quello che avviene nella vita reale! Una grande catena di eventi senza senso che ti conduce alla morte!”
“Sì, ma tu non potrai mai scegliere di non uscire la sera, per esempio…”
“Ma chi ci vuole stare in casa?! Mettila così. A tutt’oggi sono morto 129 volte ma, prima, ho fatto un sacco di esperienze divertenti! Ho bevuto sangria sulla spiaggia di Alicante. Era frizzante, zuccherina, fresca e alcolica al punto giusto! Una delizia! Chissenefrega se poi sono finito fuori strada, dopo un testacoda, e precipitato giù per una scogliera rocciosa!
Sei mai stato al Carnevale di Rio? Laggiù sì che sanno divertirsi! In quella occasione, dopo sei rum e pera, quattro mojito e tre caipiriña, mi sono addormentato al volante e, onestamente, non ricordo più niente! Solo quando i tecnici mi hanno riprogrammato, ho scoperto che avevo fatto un frontale con un camion carico di banane!”
“E sei morto”, fece notare Sid.
“Certo! Ma, prima, ho imparato a ballare la samba!”
“Quindi?”
“Beh! A me non interessa morire. A me interessa tutto quello che avviene ‘prima’ del grande Boom!”, concluse Valter.
Sid aveva a lungo riflettuto sulle parole di Valter.
L’immagine che Sid aveva di se stesso era quella di uno strumento di calcolo e mai aveva desiderato essere altro.
Un calcolatore di variabili.
Velocità d’urto.
Forza di schiacciamento.
Decelerazione al momento della collisione.
Il suo scopo era l’utilità. L’essere utile al genere umano.
E Sid intendeva fare del suo meglio ed eseguire il suo lavoro ad opera d’arte.
Ciò che avveniva ‘prima’ o ‘dopo’ un impatto non riusciva ad interessarlo.
A Sid interessava solo il momento estremo del game over: quello per cui era stato costruito.
Non faceva altro che incontrare dummies, di tutte le specie e generazioni, alla ricerca di significati ultimi di un’esperienza fittizia.
Nessuno che si concentrasse solo sul fare, con scrupolo e dedizione, il proprio lavoro.
La forza di Sid era ubbidire sempre alla propria legge interiore, la legge di chi prova un piacere particolare nel fare bene le cose a cui si dedica.

Ma dicevamo che fu un semplice errore a condurre Sid all’obitorio.
Su tre catafalchi al centro della stanza erano sistemati altrettanti corpi.
Un cadavere a pezzi.
Un altro cadavere.
E un maiale. Anch’esso cadavere.
Sid li guardò e a voce alta commentò: “Beh! A me va meglio! Io sono riassemblabile! Non smetto di essere utile dopo la mia morte!”
“Ah! Se è per quello, neanche io!”, disse il cadavere a pezzi.
“Prego?!”, allucinò Sid.
“In realtà, sono morto la settimana scorsa. Solo questa mattina si sono decisi ad utilizzarmi!”
“Come utilizzarti?!”
“Ma sì! Pensavo che mi avrebbero parcheggiato qui a vita.. anzi, a morte! Eh, eh, eh! E, invece, crash! Eccomi qui! Mi hanno impiegato per un frontale tra due berline! Ci sono volute tre ore a raccogliere i pezzi!”
“Testano i cadaveri?!”. Sid strabuzzò gli occhi.
A rispondere, questa volta, fu il cadavere intero.
“Mr Tetris, qui, vuole dire che noi tre, compreso Mr Piggy alla mia destra - Posso chiamarti ‘Mr Piggy’? -”, chiese rivolgendosi al maiale che rispose con un deciso “Oink!”, che tutti interpretarono come un Sì. “Beh! Dicevo, noi tre rappresentiamo il tuo passato, Sid!”
Sid non capiva.
A rendere chiare le cose provò Mr Tetris.
“Prima che gli scienziati comprendessero l’economicità propria dell’impiego dei manichini per i loro esperimenti, la ricerca metteva in prima linea gli esseri umani!”
“Oink!”, ricordò il maiale.
“E i suini, sì!”, ammise Mr Tetris.
“Ma è disumano!”, notò Sid.
“No! E’ antieconomico!”
A quelle parole Sid trasalì. A furia di morire da essere umano, iniziava a pensare da essere umano. 
“Oink oink!”, fece notare il maiale.
“Proprio così!”, rispose Mr Tetris, “Testare i cadaveri ha poco senso. Un corpo inerte non reagisce ad un impatto nello stesso modo in cui reagirebbe un soggetto che respira! E, soprattutto, se impattando si fa in mille pezzi, poi è inutilizzabile per successive misurazioni!”
“Già! E, in generale, un corpo è inutilizzabile anche nel caso in cui la morte sopraggiunga dopo l’urto: come nel mio caso!”, convenne il cadavere intero.
“Come ‘dopo’?! Eri vivo al momento dell’impatto?!”, chiese Sid.
“Volontario!”
Sid era incredulo.
“Oink, oink, oink!”, commentò serio il maiale.
“Sì, hai ragione! Anche in questo caso è antieconomico!”, disse Mr Tetris.
Sid era un dummy progettato e tarato perché morisse sistematicamente in eventi ripetibili e statisticamente frequenti.
Era stato pensato per questo.
Non aveva mai immaginato che la sua stessa sorte fosse stata precedentemente condivisa da esseri umani, cadaveri o volontari vivi e vegeti.
Adesso, Sid era roso dalla curiosità e non era solito essere curioso dei fatti umani. Voleva proprio capire perché mai un uomo decidesse volontariamente di prendere parte ad esperimenti simili.
“Tu non ti rendi conto!”, rispose il cadavere intero, il volontario.
“Essere al centro della scena! Poter riferire delle sensazioni, delle riflessioni, delle paure vere nell’atto estremo dello scontro! Come un reporter! Un cronista all’assalto della notizia! Inviato speciale di un avvenimento eccezionale: la morte!”
“E infatti sei morto!”, fece notare Sid.
“Sì! E, adesso, ho un bagaglio di informazioni che potrei vincere un Pulitzer!”
“Ma sei morto!”
“Che c’entra?! Nessun altro uomo può vantare un curriculum come il mio!”
“OINK!”, insistette il maiale.
“Già! Sei morto! E adesso non puoi comunicare la tua esperienza” Anzi, non puoi comunicare più e basta! A chi sarà servita la tua memoria?”
Sid era scosso.
A prender parola, allora, fu il maiale.
“Oink, oink, oink! Oink, Oink!!”, e tacque assorto.
Aveva ragione il maiale.
In fondo, tutti i presenti erano chiamati a svolgere lo stesso lavoro. Chi per costruzione, chi post mortem, chi ante mortem e chi inconsapevolmente. Il maiale, ovviamente.
Nessuno però aveva riflettuto sugli esperimenti realizzati sui maiali.
Perché testare il maiale?
Il maiale è simile nella sua struttura interna all’uomo ed è in grado di mantenere la pozione seduta. Insomma, cosucce che non dovevano entusiasmare granché il maiale.
Sid fu preso da tanti pensieri e alla fine dovette ammettere che non aveva molto senso interrogarsi sul “come” gli uomini scegliessero di essere utili alla propria specie.
Ciascuno segue le strade che può e che conosce per arrivare dove crede in nome di una vita migliore per sé e i propri simili. Liberamente.
Tranne il maiale, s’intende.
E, forse, tutta questa storia di incidenti e test e sacrifici umani e suini, non era una totale perdita di tempo.
Ciascuno era lì per dare il meglio di sé, per essere parte di un momento scientifico altamente umanizzante.
Ancora una volta, ad eccezione del maiale.
Grazie ai test e alle varie misurazioni, veniva celebrata la vita.
Come sarebbe stata più bella la vita se si fossero potute evitare morti senza senso, dentro auto sparate a tutta velocità!
Sid si sentì allora fortunato.
Il maiale un po’ meno.
Non fortunato perché a lui la morte non sarebbe mai toccata.
No. Sid si sentì fortunato perché poteva testare, ancora e ancora, un sacco di morti e così accumulare dati su dati.
Fu contento di poter continuare a lavorare a lungo.
Non invidiava il futuro che i tre cadaveri in quell’obitorio avrebbero avuto fuori del laboratorio. E si parlava della possibilità di accumulare un gran numero di dati su cremazioni e sepolture varie!
Registrare a che temperatura i corpi iniziano a prender fuoco e a sciogliersi.
Quanto tempo impiegano le ossa a incenerirsi.
O osservare il tipo di vermi che si creano nella decomposizione. O ancora quale volume può raggiungere un corpo prima di esplodere per la pressione dei gas interni.
Beh! Per una volta, Sid non era interessato alla raccolta dei dati sensibili, per quanto fossero affascinanti in modo particolare per un calcolatore come lui.
Anche perché per Sid il futuro sarebbe stato eventualmente il disassemblaggio e, quindi, la fine di qualsivoglia tipo di analisi.
Molto meglio continuare a fare ciò per cui era stato costruito.
E fare le cose per bene.
Per gli uomini.
Osservare.
Memorizzare.
Ricominciare.
Ricominciare sempre.
Fare il proprio lavoro.
E non morire mai.


FINE


giovedì 2 ottobre 2014

L'ARCOBALENO DEI DESIDERI

L’ARCOBALENO DEI DESIDERI



Tra soffici e bianche nuvole
se ne stava Iris ad ascoltar le favole.
Iris era un lungo arcobaleno
che nel cielo si allungava sereno.
Poggiava la testa in un paese del mondo
e affondava i piedi in un mare profondo.
Era così grande la sua mole
che alla vista lasciava senza parole.
Dicevano che Iris esaudiva desideri
e magici in realtà eran i suoi poteri.
Le creature della Terra seguivan la volta celeste
per avanzare le loro richieste.
Iris ascoltava di tutti i bisogni
e ne accontentava i sogni.

Una sera fresca, quasi al tramonto
si presentò una coccinella con un racconto.
“Sono nata con le mie sorelle
in una notte incantata di stelle.
Al buio della notte sembravam tutte gemelle
ma al mattino ridevano di me, le monelle!
Perfetto il loro manto rosso e nero
mentre il mio era oscuro per davvero!
Quante lacrime ho versato nel mio nido sconsolato!
Ma, ora, qui davanti a te
chiedo quello che non c’è.
Te ne prego, arcobaleno, 
al mio pianto poni un freno!”
E il cuore di Iris, che era delicato,
provò a cambiare il colore deprecato.
Prova e riprova, una soluzione sempre si trova!
“Un rimedio originale oggi ho letto sul giornale!
Con eleganza esigi, alla moda di Parigi
che il tuo color faccia tendenza
e poi vedrai che differenza!
Tutta rossa coi pallini neri:
sarà un successo di quelli veri!”
Alla coccinella lacrimona sembrò più di una corona.
Si sentì una principessa e dei coleotteri campionessa.
Volò veloce e sorridente:
addio vita deprimente!

Dal mare una stellina un po’ sbiadita
uscì tremante e infreddolita.
“Stando qui sempre in ammollo
del mio colore ho perso il controllo!
Starnutisco da mattina a sera,
mi ci vorrebbe una preghiera!
La mia preghiera è presto detta
a te che di soluzioni sei provetta:
Ravviva il mio aspetto
e in cambio riceverai il mio affetto!”
“Oh stella che perde il suo bagliore,
ti assicuro una luce maggiore!
La tua salute mi sta a cuore
e comprendo il tuo languore.
Ti ci vogliono acque calde per tonalità ben salde!
Poiché nel mar vai senza sosta
porterai il color dell’aragosta!”
E gonfia di emozione scivolò via tutta arancione.
E così la stella di mare 
dalle onde tornò a farsi accarezzare.

Un draghetto piccolino, tutto solo e sconsolato,
arrivò tutto d’un fiato.
Coperto da un mantello bigio
quando lo tolse si scoprì tutto grigio.
“Per favore, arco multicolore,
alleviami dal mio dolore!
Il colore del mio manto è dei nuvoloni scuri
ma uno rigoglioso, invece, spero mi procuri!”
“Tra le piante, i prati e i boschi 
col tuo volo il cielo offuschi.
Ma il tuo vero manto, alata creatura,
è il color della natura!
Che sia verde la tua ala
ed ora, forza! il fuoco esala!”
Il draghetto ringraziò e tra fuoco e fiamme se ne andò.

Sul pelo dell’acqua saltellava
un pesciolino bianco che piagnucolava.
Disse timido il pescetto con un piccolo tuffetto:
“Nuoto nell’acqua, il mio elemento,
ma quasi non mi si vede: che tormento!
Tu, che dei colori sei regina,
donami l’azzurro stamattina!”
Ed Iris che era buona e generosa, l’azzurro gli donò.

Un mattino di buon’ora
quando il mondo dorme ancora, 
del gran Sole lo sbadiglio
fu per Iris un abbaglio.
“Grande astro risplendente 
per il mondo sei attraente!
Mille versi ai poeti ispiri 
e ancor più sono i sospiri!
Ma qual è, per cortesia, 
il color della tua poesia?”, chiese l’arcobaleno.
“Fra tutti i colori del tuo arco
ce n’è uno che rimarco!
Esso è il giallo incandescente
e lo indosso abitualmente!
Se potessi, in verità,
preferirei un bel lillà!”
Al che, Iris con un sorriso
promise al Sole quanto deciso.
“Fra tutti il giallo è tuo alleato
giacche con esso fosti creato.
Se vorrai una nuova sfumatura,
che si addica alla tua altura,
ti consiglio due colori:
aumenteranno i tuoi valori!
D’indaco talora il cielo si colora
e le stelle tutte del firmamento
ringraziano insieme per il portento.
Anche il violetto arriva a prima sera
per rinfrescare la volta aerea.
Quindi, ecco: per te ho pensato
il binomio qui prospettato.
Indaco e violetto: due nuovi e solerti alleati
pronti a vivere allegri e beati!”
Ed il Sole grato e soddisfatto
saltellò felice come un matto!

Solo restò da esaudire
un desiderio ancora da udire:
quello della farfalla dalle ali immacolate
che teneva ben raggomitolate.
La farfalla era insicura e viveva nella paura
perché le sorelle vanitose
eran con lei assai dispettose.
Le sciocche ridevano per il suo pallore
non immaginando il suo dolore
mentre lei si sognava multicolore.
Per fortuna del delicato insetto,
Iris poteva rimediare a quel difetto.
Come fosse iscritto in un lieve velo
Iris era una spaccatura del cielo.
Un arco dal curvilineo verso
da cui fluiscono i colori dell’universo.
Prese tutte le tonalità gioiose
ed ella ebbe infine ali vezzose.
Di tutti i colori poté vestire
e finalmente le sorelle zittire.

Così finisce la storia di un arcobaleno
che per tutti si adoperava senza freno.
E, ricorda sempre, amico caro
che di donar te stesso non devi esser avaro!




FINE