DOVEVA FINIRE COSI’!
Finché le pagine di un libro rimangono chiuse è come se la storia al suo interno non esistesse.
Solo quando il racconto viene letto, esso acquista consistenza.
Dopotutto, un libro chiuso è come una pila rilegata di fogli bianchi.
Prima, non immagini l’esistenza dell’investigatore di Barcellona, appassionato di gastronomia, o della famiglia Buendìa, le cui drammatiche e magiche vicende ruotano intorno a Macondo.
Prima, non esistono Pi e la sua tigre o un'ucronia in cui Hitler e l'impero giapponese hanno sconfitto gli alleati nella seconda guerra mondiale, diffondendo il nazismo nel mondo intero, Usa compresi.
Ma, dopo, tutto cambia.
Dopo, vorresti che le pagine non finissero mai. Vorresti continuare a leggere. Vorresti una magia, per cui, dopo l’ultima pagina, ce n’è un’altra e poi ancora.
Oppure, vorresti fare tutto daccapo.
Riscrivere tutto.
Capita.
Ora, per cambiare il finale di un libro, esisteva la Chester & Chester Studio, sita al primo piano di una palazzina discreta in un quartiere poco centrale ma pulito di Bennington, nello stato del Vermont.
I fratelli Harvey e Doug Chester erano i titolari di un’agenzia le cui finalità erano difficili da definire.
I due non erano avvocati, non erano investigatori, né notai o commercialisti.
Non erano neppure sicuri, quando avevano avviato l’attività, che avrebbero trovato una collocazione fra le figure professionali riconosciute o anche solo conosciute.
Il servizio era davvero singolare.
La “Doveva Finire Così” era specializzata in narrazione.
Ad eccezione di testi religiosi o geopolitici, per i quali Harvey e Doug non si assumevano alcuna responsabilità, qualsiasi produzione narrativa poteva essere manipolata e “riscritta”.
La Chester & Chester Studio garantiva di poter intervenire su quasi tutte le strutture narrative e per questo assicurava al cliente la piena soddisfazione del finale alternativo sognato da sempre.
L’agenzia prometteva al lettore di entrare in prima persona tra le pagine di un racconto e lì interagire con i personaggi ed influire direttamente sulle vicende.
Il motivo per cui l’agenzia non si occupava di testi religiosi era legato ad uno dei primi incarichi che avevano loro commissionato o, per meglio dire, tentato di commissionare.
Il diacono anglicano Ichabod Pinker si era presentato in agenzia un tardo pomeriggio di fine novembre.
“Ho un battesimo alle 20 e sono già in ritardo! Se poi a questo aggiungiamo che il Santo Natale si avvicina.. Beh! Direi che dobbiamo fare in fretta!”
Aveva esordito così il diacono Pinker.
“Fretta per cosa, scusi?!”, domandò già spazientito Harvey che, tra i due fratelli, era quello meno accomodante.
“Devo cambiare un numero considerevole di brani delle Sacre Scritture in cui si fa riferimento al “diacono” come a una figura sottomessa al vescovo ed avente la funzione di mero servitore della tavola! Come un cameriere, si rende conto?!”, rispose esagerando i toni Pinker.
“Quindi cosa vorrebbe da noi?”, intervenne Doug cercando di essere comprensivo.
“Tra Nuovo Testamento e Lettere varie, i richiami alla mia figura sono molti, ma in ognuno di essi il mio ruolo nella struttura ecclesiastica è marginale! Non ho peso politico né potere decisionale! Ed io aspiro ad una posizione di centrale protagonismo!”
Evidentemente, Pinker era alla ricerca di riscatto sociale. Doug pensò che, in effetti, all’infuori delle organizzazioni religiose, nessuno sapeva chi fosse o cosa facesse un diacono. E per questo Doug riconobbe che si trattava di una figura abbastanza inutile. Appuntò la cosa mentalmente e fece continuare il ministro.
“Vede”, disse Doug mentre Harvey si teneva in disparte, irritato dall’opportunismo di quell’uomo, “Non funziona così! Noi possiamo intervenire sull’intreccio narrativo e a partire da questo cambiare il finale di un libro. Ma mai per un tornaconto personale!”
“Ma io sono pronto a pagare qualsiasi cifra!”, insistette Pinker.
“Non si tratta dei suoi soldi… ma di quanto il libro, di cui vuole cambiare il finale, ha influito sulla sua vita! Di solito si stratta di testi che ci hanno cambiato la vita! I nostri romanzi preferiti! Il Nuovo Testamento è il suo libro preferito?”, chiese Doug.
“Decisamente no!”, disse in modo ostile il diacono. “Ho amato solo ‘Lo strano caso del Dr Kekyll e Mr Hyde’! E devo dire che ho sempre desiderato bere una pozioncina che alterasse corpo e mente e mi facesse diventare padrone incontrastato del mio tempo! E finalmente inclinare gioiosamente le mie energie al male, alla mia soddisfazione egoistica, sfrenata, selvaggia e asociale! Altro che Nuovo Testamento!”
“Ssssì!”, rispose Doug ora a disagio. No. Il diacono Pinker non era alla ricerca di riconoscimento sociale. Era solo pazzo. E con l’indole malvagia.
Appuntò mentalmente la cosa per la seconda volta e rimase ad ascoltare Harvey che intervenne ormai privo di pazienza. Aveva le tasche piene della situazione e del “diacono Jekyll”.
“Non possiamo fare proprio niente per lei! Altro che pozioncina! Se fossi in lei, abuserei di ostie consacrate, di Pater Noster e di Ave Maria! Perlomeno centoventisette! E si faccia confessare! E magari pensi anche ad un serio esorcismo! E non dimentichi un bell’autodafè! Sono sicuro che una corona di spine non sarà abbastanza selvaggia per lei!”
L’uomo di Chiesa girò i tacchi e se ne andò.
Mai più testi sacri, convennero i Chester. Non ne valeva la pena.
Le parole dei profeti e la vita dei vari Messia non meritavano di essere stravolte per fini egoistici. Gravitavano già abbastanza lotte per il potere intorno alle Scritture di tutte le fedi per permettere ad un idiota di stravolgere ortodossie ufficiali millenarie.
Tanto più che quelle dottrine muovevano da sacrifici, immolazioni e martiri vari. E la sofferenza meritava rispetto.
I clienti della “Doveva Finire Così” costituivano un gruppo interessante di persone accomunate dal buon gusto per la letteratura e dalla romantica volontà di credere ancora nel potere trasformativo, rivoluzionario delle parole.
Accademici dai modi eleganti e piacevoli. Studenti affascinati da vite narrate in altri secoli e con altre regole sociali e morali. Persone che avevano vissuto tra la carta e l’odore di inchiostro.
Romantici fino al midollo. Sognatori granitici.
Uno di questi era stato il cliente numero 14.
Si chiamava Liv McCullen ed era una giovane cresciuta passando tutto il suo tempo libero a leggere i grandi autori russi e i loro capolavori senza età.
Liv aveva amato particolarmente ‘Anna Karenina’. O meglio, odiato.
“Anna è la donna più incapace ed incerta di cui abbia mai letto! Fa di tutto per rovinarsi la vita e per complicarla agli altri! Non sa afferrare le mille possibilità di felicità che le vengono offerte! Senza rendersi conto che è considerata la perla dell’alta società di San Pietroburgo, nonostante sia grassa e sempre sudata, con un odioso colorito cadaverico e la tendenza al melodramma!”, disse d’un fiato Liv.
“Noto che non ti è particolarmente simpatica…”, commentò Harvey divertito. Gli erano sempre piaciuti i clienti che sapevano esattamente che taglio dare alle storie, che direzione far prendere agli intrecci.
“Per niente!” Ma io vorrei solo una possibilità: Parlare con lei! Farla ragionare!”, disse Liv.
“Come?”
“Ho gli strumenti e le argomentazioni giuste!”
Liv era davvero decisa. La determinazione personificata.
“Proviamoci!”, disse Doug.
I tre si disposero davanti ad un tavolo su cui era stato sistemato un leggio lavorato a intarsio. Un oggetto molto antico. Sul piano si trovava una copia di ‘Anna Karenina’.
Iniziarono a leggere tutti insieme a voce alta. Dopo poche frasi, le righe iniziarono a confondersi. Le parole si staccarono dai fogli e come farfalle presero a svolazzare e a danzare per la stanza. Cambiavano colore e a Liv parve che suonassero. Smise di leggere ma la lettura continuò. Era tutta intorno a lei adesso. Erano le stesse parole a leggersi e a raccontarsi.
Ma Liv non era più nella stanza della Chester & Chester Studio.
Ora si trovava sulla banchina di una stazione di Mosca nella Russia di fine Ottocento.
Davanti a sé, tra la nebbia onirica della sera, le spalle curve, confuse, disperate di Anna Karenina.
“Fossi in te, non lo farei.”, disse Liv.
Anna si voltò di scatto.
“Avrai un attimo di pentimento prima di finire sotto al treno. Pentimento, hai capito?! Non sei neanche in grado di suicidarti senza rimorsi! Totalmente inutile! E poi perché suicidarti?! Vronskij è un fico pazzesco e, per qualche ragione che milioni di lettori non comprendono, si è innamorato di te, che sei brutta, ossessiva e appiccicosa! Le donne di mezza San Pietroburgo ti stimano e ti prendono a modello, Dio solo sa perché! E sei pure diventata simbolo dell’amore incondizionato e passionale!
E afferrala una volta per tutte la felicità! Sai solo lamentarti delle cadute e dell’eterna attesa della tua vita! Ti prenderei a schiaffi, giuro!”
“Se avete considerazione di me, lasciate che io trovi la mia pace!”, rispose Anna.
“Ma quale pace, scema?!”
“Non sono abituata a lasciarmi apostrofare così da una donna in abiti umili incontrata alla stazione!”
“Sorella! Stai molto attenta a come parli! Sono qui a salvarti il culo! Anche se avrei proprio voglia di darti una bella spinta e via! giù dalla banchina!”
“E io griderei all’omicidio! Dimenticatemi! Se siete una nobildonna, mi dimenticherete!”
“Sono anni che cerco di farlo! E’ inutile! Ti conviene smetterla coi tuoi propositi suicidi e tornare a casa! C’hai pure due figli, razza di scriteriata!”
“Dovrei tornare ad un’esistenza che mi nega la felicità e che uccide ogni mia spinta vitale?”
“Lo fanno da secoli tutte le donne! E senza lamentarsi! E, soprattutto, basta con questo vittimismo!”
“La sciocca e solo apparentemente evoluta San Pietroburgo mi ha fatto terra bruciata intorno! Ovunque Vronskji e io si vada, la vergogna della mia condizione sociale ci precede e ci impedisce di vivere appieno e serenamente il nostro amore!”
“Ma cosa te ne frega dell’alta società russa? Dovete solo avere pazienza! Nel giro di breve, la gente dimenticherà chi siete e il motivo per cui ora vi snobba! La gente non ha memoria storica, fidati!”
“E, nel frattempo, dovrei vivere da esiliata e reietta?!”
“Dico, non muori se stai lontana per un po’ dai salotti dei ricconi! E se hai bisogno di chiacchiere colte, vengo io e ci prendiamo un tea! Esistono così tanti esempi di grandi donne del Novecento che ti aprirebbero gli occhi su cosa significa “aver carattere”! Altro che toni queruli e pianti lamentosi! Donne forti! Che hanno tenuto ben in pugno uomini e destino! Ti farebbe solo bene leggere di Madre Teresa, Indira Gandhi, Marie Curie, Coco Chanel e Simone de Beauvoir! La lista è lunga, credimi!”
Anna esitava. Liv era stata così insistente e convincente che le sue parole iniziarono a sembrare plausibili e a far breccia nella coscienza di Anna. Il treno sarebbe arrivato di lì a poco e la possibilità di venire stritolata da un treno non le sembrò più così poetica.
“Magari.. potrei scegliere una morte meno cruenta.. Che ne so, un veleno…”, riflettè Anna.
“Certo! Come no?! Hai presente come hanno ritrovato il corpo senza vita di Marilyn?! Avvolto in lenzuola intrise di vomito e merda! Altro che Chanel n5!”
“Oh anima infelice! Sono devastata per lei! Marilyn era una tua parente?”
“Lascia perdere! Soprattutto, ricorda che il treno è grosso. E fa male, quando impatta contro un mucchio d’ossa, sebbene ben foderate di grasso come le tue!”
All’idea del bestione d’acciaio addosso e del proprio corpo maciullato, Anna ebbe un vacillamento e quasi scivolò giù dalla banchina. Fortunatamente, Liv ebbe i riflessi pronti e la afferrò al volo, prima che venisse dilaniata dal treno che stava passando proprio in quel momento.
“E adesso?”, chiese Anna commossa, con gli occhi umidi.
“Cavoli! Ma quanto pesi?!”, disse col fiatone Liv.
“Sono morbida! E’ la moda dei tempi, sai…”, rispose imbarazzata Anna.
“Vabbè! Conosco un buon dietologo, lascia fare a me! Adesso ascoltami! Tornatene a casa, fatti bella, invita a cena fuori Vronskij e smetti di fare la lagna, che quello non ci sta niente a trovarsene un’altra!”
“Dici?!”
“Ovvio! E’ un uomo!”
Liv e Anna si diedero appuntamento per il giorno dopo e per altri ancora a venire.
Divennero buone amiche e, nonostante appartenessero ad epoche e culture differenti, rimasero in contatto a lungo. Anna si trasformò in una persona più positiva. Si iscrisse in una palestra moscovita dove perse parecchi chili e fu la prima donna di fine Ottocento ad introdurre il fitness tra gli argomenti di conversazione d’avanguardia nei salotti dell’alta società.
Si dice sia stata anche pioniera della dieta macrobiotica in Russia.
Di certo, mise Vronskij a dieta e fece di tutto per convincerlo a perseguire il salutismo attraverso il raggiungimento dell’equilibrio tra lo Yin e lo Yang. Fecero addirittura un viaggio per osservare ed imitare l’alimentazione dei monaci buddisti.
E, in pochi mesi, Vronskij non ne poté più. Ma siccome era innamorato e stremato dal circo impazzito che era la nuova Anna, decise che era meglio assecondarla.
Sempre meglio che raccoglierne i resti insanguinati dai binari della stazione di Mosca Centrale.
Liv McCullen uscì dalla “Doveva Finire Così” pienamente soddisfatta dell’esperienza e felice di aver guadagnato una nuova, sincera amica.
Non smetteva di ringraziare i fratelli Chester, i quali erano davvero contenti per la riuscita della loro attività ed orgogliosi di aver salvato la vita ad una eroina tanto amata come Anna Karenina.
Negli ultimi tempi, la “Doveva Finire Così” sembrava essersi specializzata in cambi di finale in cui i clienti andavano in soccorso dei loro personaggi del cuore, destinati a morte certa e violenta. Insomma, sembrava proprio una Onlus le cui finalità prevedevano la promozione della cultura e dell’arte e la tutela del “diritto ad esistere” di gente mai esistita!
Come nel singolare caso del Prof Charles Smith, emerito della Facoltà di Lettere dell’Università di Cambridge.
Il Prof Smith, uomo dai modi estremamente cortesi, aveva fatto richiesta di poter entrare nel dramma dei drammi, ovvero il ‘Romeo e Giulietta’ del Bardo, e così salvare gli archetipi dell’amore tragico.
Il caso Smith finì con l’essere archiviato come un “caso singolare” perché il professore si ritrovò ad assumere ad interim la funzione di salvatore delle vite dei due giovani di Verona e di loro personale consulente di coppia.
Soprattutto il lavoro terapeutico sulla relazione tra i due e sulla quasi totale mancanza di fiducia di Giulietta in Romeo, fu ciò che più diede filo da torcere al Prof Smith.
Motivando “Ché mai vi fu storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo”, l’illustre accademico chiese di poter tornare alla Verona cinquecentesca, nella cripta del più atroce dei delitti, dove gli amanti perseguitati trovarono la morte.
I fratelli Chester accettarono di buon grado la richiesta, da sempre convinti che la storia fosse, in realtà, una vera tragedia della Sfortuna, di una Provvidenza crudele e imperscrutabile. Harvey e Doug sostenevano che il destino degli amanti fosse dipeso da un fato cattivo, lo stesso cui erano dovuti i terremoti improvvisi, le folgori a ciel sereno e il mutare delle stelle e dei loro influssi.
Occorreva quindi rimediare.
Non fecero alcuna opposizione al sogno del professore di Cambridge.
Così, in una notte di settembre, il Prof Smith si ritrovò nella cripta dei Capuleti, atto V, scena III.
Giulietta era distesa sulla pietra tombale. Il corpo senza vita di Paride giaceva in un angolo e Romeo, inginocchiato ai piedi della sua bella, era sul punto di bere la fiala di veleno.
“Giovane Montecchi! Vi invito a gettare la fiala mortifera e ad attendere il risveglio della vostra dolce sposa!”, esordì in modo teatrale il Prof Smith.
“Chi è costui che, nell’ora tarda della notte che quasi può chiamarsi mattina, avvolto dalle tenebre e in abiti di fattura insolita, si rivolge a me perché mi allontani dall’unico balsamo in grado di confortarmi un poco per la morte del mio unico amore?”, chiese sbigottito Romeo.
“Professor Charles Smith, Emerito dell’Università di Cambridge! Incantato oltre ogni dire di fare la vostra conoscenza!”
“Ancora l’odiosa tossina non ha fatto il suo corso, sprofondandomi nello Stige in cui affogano le anime tormentate, e già inizio a vedere e a parlare con un demone dell’Inferno!”
“Ma quale demone?!”
“Voi, è ovvio! E adesso basta! Mi distraete dal mio triste e solitario commiato dal mondo!”
“Ma che fretta hai di bere sto veleno?!”
“Devo raggiungere la mia dolce Signora! Morta lei, morto io! Ineluttabile e fatale equazione matematica!”
“Come sei tragico! Ascoltami! Sai che frate Lorenzo ha seguito segretamente un corso sulle arti magiche e a lui piace tanto fare lo stregone e pasticciare con tisane e beveroni di ogni genere! Beh! Egli ha preparato una pozione narcotica e l’ha fatta bere a Giulietta! E si da il caso che la pozione provochi uno stato letargico di morte apparente! Significa che, se avrai la pazienza di aspettare, la tua bella si sveglierà a breve!”
“Non posso aspettare! La morte mi reclama! Voi mentite!”
“Perché voi giovani siete così impetuosi?! Vi siete appena conosciuti, tu e Giulietta, e già bruciate di amore infuocato e impaziente! E ti ricordo che fino all’altro ieri, eri innamorato delle curve poco virtuose di una certa Rosina!”
“Che c’entra?!”
“C’entra che, secondo me, questa è una cotta adolescenziale bella e buona!”
“In base a cosa giudicate il mio amore e il mio comportamento?”
“Beh! Solo per aver preso una cotta, in soli quattro giorni hai fatto scoppiare un putiferio!”
“Io vi giuro sui candidi e delicati petali dell’immacolato giglio, che il mio amore per Giulietta è vero, come vero è il susseguirsi del giorno e della notte, secondo il movimento dell’astro più luminoso e splendente!”
“Non c’è bisogno che giuri! Lo so che sei innamorato… Dico solo che stavate per morire a causa dell’avventatezza e della vostra giovane età!”, concluse il Prof Smith.
Giulietta si svegliò. Come da un sonno senza sogni, rapido e senza colori.
“Amor mio!”, disse Romeo in un’esplosione di gioia e stupore. “Siete viva! Respirate e vi muovete! Sembravate defunta ed eravate gelida ma di una scultorea bellezza!”
“Mah! Non era poi così gelida.. giusto un po’ fresca!”, fece notare Smith.
“Davvero! Madonna mia, vi giuro che..”, stava per rispondere Romeo.
“E state sempre a giurare!”, esplose Giulietta. “Anche sul balcone! Vi dico di non giurare e voi: Giuro sulla luna! Giuro sul caro amore del mio cuore! Non se ne può più! Mi basta che siate sincero e non corriate dietro tutte le gonnelle di Verona!”
“Ah! Mio angelo splendente! Io giuro..!”
“Ancora?! Vedete?!”, disse Giulietta rivolgendosi allo sconosciuto Prof Smith. “Fa sempre di testa sua! Sembra incapace di ascoltare la voce e i consigli di coloro che lo circondano, sebbene più avveduti e più saggi di lui!”
“A cosa vi riferite, mia Signora?”, chiese curioso Smith.
“Già! Di grazia, dolce, leggera e paffuta colombella, a cosa vi riferite?!”, chiese ancora più curioso Romeo.
“Appena riavutami dal letargo in cui caddi e che celò il battito del mio cuore vivo e già mi tocca udire della rotondità delle mie forme!”, disse Giulietta capricciando.
“Sì, ma ho detto altresì ‘leggera’! Non lo udiste?!”, chiese Romeo.
“Lasciate che Giulietta parli ed esprima tutta la sua costernazione! Non vedete, imberbe Romeo, che un avvilimento sconosciuto le avviluppa il cuore e corruccia la fronte?!”, disse il professore.
“Sì.. Sì! Ma, ‘imberbe’?! Ho vent’anni e sono un uomo compiuto!”, rispose piccato Romeo.
“E’ proprio a codesto atteggiamento che faccio riferimento!”, disse Giulietta. “Sarà l’insolenza data dalla vostra cruda giovinezza, ma non sembra ci sia verso che ascoltiate o siate assennato nel giudizio!”
“Ma! Giuro, mio profumatissimo fiore, che mai il mio orecchio ha voluto ascoltare altro che non fossero le parole pronunciate dalle vostre incantevoli ed umide labbra, sulle quali morirei se mai si posassero delicatamente sulle mie!”
“Stai giurando! Che ti avevo detto?!”. Giulietta ora era passata alla forma più colloquiale di una conversazione. Ciò significava che era proprio furibonda.
“Oh, ma insomma! Calmati!”, rispose Romeo contrariato.
“La verità è che sei un violento!”
“Io?! Un violento?!”
“Tebaldo è morto ammazzato per una scaramuccia da strada e-vi-ta-bi-lis-si-ma!”
“Ma Tebaldo aveva offeso a morte Mercuzio! Ah! Mercuzio! Pace all’anima sua! Egli ha raccolto un’offesa a me destinata! E solo perché mi amava come un fratello!”
“Che ti amasse come un fratello non ne sarei sicura..!”, disse maligna Giulietta.
“E in che altro modo avrebbe potuto amarmi?!”, chiese Romeo.
“Tutta Verona vi rideva alle spalle! Stavate sempre insieme! E lui non faceva altro che preoccuparsi dei tuoi abiti e della tua acconciatura e dei tuoi calli! Direi che tutto ciò era quantomeno sospetto!”
“Ma era proprio perché mi amava!”
“Appunto!”
“Beh! Vi assicuro, mia delizia e stupore, che mai permisi a Mercuzio alcuna confidenza! Ve lo posso giurare!”
“Ancora?! Lascia perdere… Ma, di Paride lì per terra… che mi dici?!”
Finalmente, Giulietta si era accorta del corpo esanime del povero Paride, suo promesso sposo.
“E che vuoi che ti dica?!”, rispose impacciato Romeo. “Arrivo da Roma, entro nella cripta e chi ti trovo? Un tuo pretendente!! Poi uno dice che non gli deve andare il sangue alla testa… Insomma, sai come vanno queste cose… Lui mi ha provocato.. io ho tentato di far spallucce… lui ha insistito e, alla fine, ho ceduto! E giù! Un bel colpo di spada e tanti saluti!”
“Come ‘tanti saluti’?!”, gridò Giulietta. “Sei incorreggibile! Come faccio a mettermi con uno come te?! Rischio di non poter far due passi per Verona! Sei capace di sfoderare il pugnale per una sciocchezza! E io sono troppo giovane per ridurmi a portarti le arance in prigione!”
“A questo punto, mi vedo costretto ad intervenire!”, disse allora il Prof Smith. “La giovane età unita ad un destino beffardo ha voluto che la vostra storia divenisse una tragedia di contrattempi e avventatezze! Ma, non tutto è perduto! Anzi! Siete vivi! Adesso, vi attende una strada costellata di felicità, se vorrete percorrerla insieme e se avrete la pazienza del compromesso!”
“Oh! E’ quello che ho sempre pregato durante le lunghe notti trascorse lontano dall’unica stella che guida il mio agire: Giulietta!”, disse romantico Romeo.
“Beh! Certo! E’ anche quello che vorrei io! A patto, però, che questo bruto testone di un Montecchi smetta di fare il barbaro!”, propose Giulietta.
“Non sono un testone! Ammetto d’esser bruto talvolta e, chiaramente, non posso non ammettere d’essere un Montecchi... Ma non testone! Quello no!”, disse offeso Romeo.
“Basta con le baruffe!”, ordinò Smith. “Ogni legame reca con sé inevitabilmente delle nebulosità e dei conflitti che, se non gestiti correttamente, possono portare a vere e proprie rotture. Non facciate che sia il vostro caso! Il vostro amore ha ispirato milioni di cuori nel corso dei secoli!”
“Davvero?!”, chiesero i due giovani.
“Ma dove? A Mantova?!”, si informò Romeo.
“Dappertutto!”, sorrise bonario il Prof Smith.
“Ma anche a Rovigo?”, si informò nuovamente Romeo.
“Ma sì!”
“Ma fino a Brescia?!”. Romeo era insistente.
“Ma la vuoi smettere?!”, scoppiò Giulietta. “Non lo hai sentito?! Dice ‘dappertutto’!! Ormai tutte le giovani donne sanno che stiamo insieme! E addio alle tue possibilità di conquista! Ti sei rovinato la piazza!”
“No… ehm… mica volevo saperlo per chissà quali finalità adulterine… Che vai a pensare?!”, si difese imbarazzato Romeo.
“Penso che sei un potenziale traditore!”, rispose secca Giulietta.
Ancora una volta, intervenne il Prof Smith. “Ah! Gioventù esuberante! Vi invito ad essere sufficientemente maturi da strutturare un legame solido!”
“Sì, ma come?!”, chiesero in coro i due ragazzini.
“Avete liberamente scelto di formare una unità?”
“Abbiamo?!”, si guardarono perplessi i due che, fortunatamente, aggiunsero subito, “Sì! Abbiamo!”
“Bene!”, disse sollevato e sudaticcio il Prof, “Allora, talvolta sarà dura perché ciascuno porta con sé un ideale di amore differente, così come i modi di viverlo e manifestarlo. Ma troverete dentro voi stessi le metodologie strategiche più idonee per agire nella realtà del vostro amore! Imparerete a gestire conflitti e sciogliere i traumi che vi frenano! Mai lasciarli inespressi o irrisolti!”
“Ehm,,, Sì, Prof!… Quindi?”, fece Giulietta, spirito davvero pratico.
“Amatevi! Parlatevi! Incontratevi! In gergo, è il celebre acronimo API!”, concluse soddisfatto.
“Api?! Qui dentro la cripta?! Siamo spacciati! Io sono allergico! Perfino al miele! Lo tollero solo come trattamento di bellezza!”, gridò femmineo Romeo.
“Poi, se lo chiamo testone, si offende! Per non parlare della misteriosa e indefinibile amicizia col fu Mercuzio!”, commentò acida Giulietta. “Vabbè! Ascolti, mio solerte amico! Teniamoci in contatto! Perché mi sa che, se non ci teniamo in contatto con un esperto che ha inspiegabilmente ma evidentemente a cuore la nostra storia d’amore, a breve Verona vedrà scintille e fuochi d’artificio!”
“Mi sembra ottimo! E io ne sarei onorato!”, disse con gli occhi lucidi il Prof Smith.
E si accordarono così.
Di tanto in tanto, il Prof Smith sarebbe tornato a Verona a far visita alla coppia per assicurarsi che seguisse il programma di dialogo e comunicazione concordato insieme.
Da parte loro, i due giovani innamorati avrebbero fatto l’impossibile per non permettere alla quotidianità e alle incomprensioni di spegnere il fuoco vivo di una delle più grandi e appassionanti storie d’amore di tutti i secoli.
Insomma, quello di Doug e Harvey Chester era un lavoro soddisfacente.
I due fratelli riuscivano realmente a rendere le persone felici.
Quanti erano gli uomini che chiedevano una occasione di riscrittura e con essa di rinascita?
La lista dei clienti sembrava destinata a crescere.
La possibilità di entrare nel vivo di un romanzo era una occasione incredibile.
Era un viaggio unico.
Era il viaggio più appassionante di sempre.
Per un momento, breve o lungo che fosse, chiunque poteva scoprirsi scrittore e raccontare dell’esistenza e delle sue continue rinascite.
E attraverso le tante e diverse possibilità narrative si poteva conoscere e accompagnare se stessi con le parole e le emozioni tra le pagine della vita.
La Chester&Chester Studio offriva proprio questo spazio aperto di creatività continua, grazie al quale un libro poteva non finire mai.
Che opportunità!
Un libro che tende all’infinito e l’uomo che cresce ed invecchia con esso e sperimenta nuovi modi di esistere.
Un libro e un uomo che vanno insieme.
Tenendosi per mano, stretti.
Perché la vita è il vero viaggio.
FINE